I mistici Guerrieri del Punjab, dal tempio d’oro dei Sikh alla festa dei Nihang

In Punjab scordati la frenesia della modernità. Il boom economico indiano, il traffico delle città, l’hi-tech e i call center. Il Punjab è una regione agricola abitata perlopiù da contadini, e pochissimo frequentata dagli occidentali. Scopri di più su questa destinazione Circle.

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Pellegrinaggio in un’India fuori dal tempo, alla scoperta di una tradizione sconosciuta

di Marco Restelli – Giornalista specializzato sull’ Asia, blogger e docente di cultura indiana all’Università degli Studi di Milano

«L’India è così grande che le sue diverse parti vivono in secoli differenti», ha scritto una volta Arundhati Roy, l’autrice de Il Dio delle Piccole Cose. E ha ragione. Qui in Punjab scordatevi la frenesia della modernità, il boom economico indiano, il traffico delle città, l’hi-tech e i call center. Il Punjab, unico Stato indiano a maggioranza Sikh, è una regione agricola abitata perlopiù da contadini, e pochissimo frequentata dagli occidentali: vive in un altro tempo, dove il mito e la spiritualità fanno ancora parte della vita quoti- diana. Se cercate un’India al di fuori della globalizzazione, qui la troverete.

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Punjab – Nihang, vecchi e bambini

Sono tanti anni che studio la cultura dei Sikh (il mio primo libro su di loro è del 1990) eppure ogni volta che mi trovo qui, davanti al “Vaticano” dei Sikh, mi emoziono. è naturale: questo luogo, il Tempio d’Oro di Amritsar, è di una bellezza abbagliante. È l’ora del tramonto, e i raggi obliqui del sole battono sulle pareti e sulle cupole auree del Golden Temple riflettendosi sul lago sacro che lo circonda e dipingendo così le acque di rosso e d’oro.

Intorno al lago c’è un piccolo mondo candido punteggiato di colori: un rettangolo di antichi edifici bianchissimi (soprattutto ostelli per pellegrini) che include un altro rettangolo di marmo bianco, il cammino sacro dei pellegrini Sikh, dove i maschi avanzano portando fieri i loro turbanti gialli o blu, e le donne – eleganti come principesse – indossano gli abiti multicolori della tradizione. Ovunque nell’aria risuonano i kirtàn, gli inni sacri che musicisti e cantori eseguono nel Tempio d’Oro, e a un certo punto sembra che colori e musica si fondano insieme, sicchè la cosa più saggia che noi possiamo fare è sederci e ascoltare/guardare la vita che scorre davanti a noi.

I Sikh sono solo il 2% della popolazione indiana ma il Punjab è la loro terra e Amritsar il cuore pulsante della loro religione, il Sikhismo. Nacque fra il Quindicesimo e il Sedicesimo secolo ad opera di un Guru, Nanak, che voleva conciliare le due religioni predominanti e sempre in guerra fra loro: l’Induismo e l’Islam.

Proprio per questa ispirazione pacifica e conciliatoria il Sikhismo contiene elementi sia islamici sia indù, e il suo libro sacro – il Guru Granth Sahib – ha una particolarità unica al mondo: è l’unico testo fondativo di una religione che contiene anche inni di altre religioni. Il loro libro sacro, il Guru Granth Sahib, lo vedremo all’interno del Tempio d’Oro: è situato su un piccolo trono sormontato da un baldacchino dorato e gli fanno aria con lunghi ventagli di piume come se fosse un uomo perché ha preso il posto di qualsiasi guru umano, dato che contiene la parola del Guru supremo che è Dio.

Il Tempio d’Oro ha quattro porte aperte verso nord, sud, est e ovest, «perché Dio accoglie tutti, da qualsiasi luogo», dicono i Sikh. E questo senso di accoglienza è profondo e reale: i Sikh sono straordinariamente ospitali. Possiamo sperimentare la loro ospitalità entrando nelle gigantesche cucine-mensa (chiamate Langar) che si trovano in un edificio vicino al lago del Tempio d’Oro.
Appena entrati nel Langar ci siederemo a terra su lunghe stuoie, accanto ai Sikh, e insieme a loro consumeremo un pasto caldo che ci verrà offerto gratuitamente. (Starà al nostro buonsenso, poi, lasciare una piccola offerta, che comunque non è obbligatoria). Tutti i templi sikh (compresi quelli esistenti in Italia) hanno un Langar annesso al tempio, ma in nessun luogo al mondo c’è una cucina-mensa grande come quella del Tempio d’Oro, che offre ai visitatori ben cinquantamila pasti al giorno. Com’è possibile un lavoro così titanico? Semplice: con il volontariato.

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Folla nel Tempio d’Oro

Tutti i Sikh – vecchi e giovani, uomini e donne – dopo il lavoro o la scuola fanno servizio volontario nel Langar: il servizio agli altri (che chiamano Seva) è il primo dovere di un Sikh «perché accogliendo gli altri accogliamo Dio», dicono. Nelle cucine vere e proprie – anch’esse immense – troveremo un pacifico esercito di persone che pelano patate, cuociono lenticchie, lavano piatti, mescolano minestroni in pentole enormi… e quando entreremo ci verrà naturale unirci a loro, impastare con loro la farina per fare il pane, o sbucciare l’aglio con loro. Sempre, in ogni circostanza, verremo accolti con un sorriso. E ce ne andremo con un senso di gratitudine per quella singolare esperienza comunitaria. Questo spirito di accoglienza è ancora più vivo oggi, che è un giorno speciale. Oggi infatti il Tempio d’Oro e i Langar sono stracolmi di pellegrini perché tradizioni con i tornei guerreschi dello Holla Mohalla. Se ad Amritsar abbiamo incontrato pochi turisti, ad Anandpur Sahib non ne incontreremo praticamente nessuno.

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Marito e moglie alla festa dei Nihang

Io sono stato il primo in Italia ad avere frequentato lo Holla Mohalla e posso testimoniarvi ciò che troveremo: trecentomila Sikh festanti, e in mezzo a loro non più di una i Sikh si stanno preparan- do al grande pellegrinaggio dello Holla Mohalla, il festival religioso che si celebra una volta all’anno in un’altra località sacra del Punjab: Anandpur Sahib. Se Amritsar è il cuore della spiritualità Sikh, Anandpur Sahib è il cuore dell’Orgoglio Sikh, il centro segreto della loro identità, dove una volta all’anno, seguendo le date variabili del calendario lunare, celebrano le proprie
cinquantina di Viaggiatori occidentali. Uso appositamente la parola “viaggiatori”, e non “turisti”. Perché Anandpur Sahib è sconosciuta ai non-Sikh, e non ha nulla di turistico.

Che cos’è dunque lo Holla Mohalla? E’ uno dei festival religiosi più autentici e incontaminati dell’India, durante il quale l’elite dei Sikh – per tre giorni – si esibisce in arti marziali con la spada e con il fuoco, a cavallo e con le lance, in tornei di sapore medioevale, per ricordare la rifondazione in senso marziale della comunità. Avvenne nel 1699: da un secolo i Sikh erano perseguitati, umiliati e uccisi dagli imperatori della dinastia Mughal, che pretendevano di convertirli all’Islam. Nel 1699 il decimo e ultimo Guru dei Sikh, Govind Singh, decise di ri-fondare la comunità in senso marziale, con nuovi costumi e nuove regole: non più fuggire ma combattere, non più nascondersi ma farsi riconoscere, anche nell’aspetto fisico.

Barba lunga e capelli lunghi raccolti sotto il turbante, per gli uomini; per tutti – uomini e donne – un pugnale (il kirpan), e altri segni come un braccialetto d’acciaio. Per gli uomini il cognome Singh: leone. Per le donne il cognome Kaur: principessa. E per tutti un voto: essere pronti a morire per difendere il Sikhismo e la propria gente. La nuova comunità riformata – chiamata Khalsa – costituisce da allora e ancor oggi l’ortodossia del Sikhismo, la sua corrente più tradizionalista. Lo Holla Mohalla è il suo festival, celebra la fondazione del Khalsa: il suo momento più sacro è la venerazione delle spade, delle lance e degli scudi appartenuti al Guru che la fondò, Govind Singh, e oggi conservati nel tempio principale di Anandpur Sahib.

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Cuoco nelle cucine del Langar

Ma i veri protagonisti, gli eroi dello Holla Mohalla, sono gli Uomini Blu dell’India: i Nihang. Molti di voi avranno sentito parlare degli Uomini Blu del Sahara, i Tuareg. Sconosciuti a tutti invece (e volutamente) sono gli Uomini Blu del Punjab, i Nihang, una confraternita di mistici guerrieri. Sono l’élite, i portabandiera della tradizione Sikh, i “difensori della fede”. Usano vivere dispersi e lontani dal brusìo delle città, rifuggono la modernità, non parlano inglese e non cercano turisti, lavorano senza padrone, proteggono i templi, si riuniscono solo una volta l’anno e in un unico posto: per lo Holla Mohalla ad Anandpur Sahib.

Vestiti come i Tuareg – ma con turbanti molto più grandi – sono maestri d’arme (spada e lancia) e ad Anandpur Sahib sono loro ad esibirsi in arti marziali d’ogni genere. Spettacolare è il torneo a cavallo che si svolge su un grande prato fuori città, quando i Nihang – eccellenti cavalieri – galoppano fra due ali di Sikh esultanti e poi si piegano per infilzare al volo, sulle lance, piccoli blocchetti di fieno sparsi sul prato, tornando poi indietro in piedi sul proprio cavallo, o in bilico su due cavalli.

Domani proseguiremo per Faridkot, dove vedremo un esempio unico di convivenza religiosa, con un tempio sikh che contiene una moschea («perché Dio accoglie tutti»). E più avanti arriveremo nella parte meno turistica del Rajasthan, lo Shekhawati, per ammirare gli Haveli, le meravigliose resi- denze affrescate dei mercanti Marwari, dove pure dormire- mo. Ma oggi abbiamo il privilegio di vedere gli ultimi Nihang, personaggi di un’India antica destinata a scomparire presto, sotto i colpi della globalizzazione. I loro cavalli scalpitano, alzando zolle di terra. Le lance sono tese. Il pubblico dei Sikh grida a più non posso. I Nihang partono al galoppo.

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La Festa Sikh Di Hola Mohalla E I Palazzi Dello ShekhawatiImmagini Argentine

DURATA: 14 giorni – 12 notti

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